Siamo abituati, oggi, a vedere gli eserciti indossare le uniformi mimetiche, con varie sfumature di colore: dal verde oliva al nero per le woodland, dal marrone all'ocra per le desert, dall'azzurro al grigio per le urban. Se non ci fossero gli scudetti di nazionalità , avremmo difficoltà a distinguere i militari dei diversi paesi, tutti vestiti di uniformi simili.
Ma, in età moderna, non sempre gli eserciti scendevano in battaglia con le divise, perché erano costose e poco utili.
Durante la guerra civile inglese, a metà Seicento, sia i realisti che i parlamentaristi accettavano dalla popolazione contributi in natura: i comandanti locali lasciavano ricevute in cambio di vestiario, vettovaglie e alloggio. I realisti, in particolare, mandavano gli indumenti ricevuti in un deposito della Oxford School of Music and Astronomy, dove sarti e cucitrici ne rielaboravano la forma, trasformandoli in uniformi. Come si può ben immaginare, queste non bastavano per grandi reggimenti.
L'uniforme non era considerata importante, dato che buona parte dei combattenti indossava l'armatura; e anche per coloro che sostituivano alle corazze le giubbe non c'era speranza di concludere la campagna militare con la stessa uniforme. Il motivo è chiaro se si leggono le parole di Thomas Raymond, che servì sotto l'esercito olandese nel 1633: «una notte non avevo altro per proteggermi dal terreno freddo e fradicio che un fascio di stoppia umida, a cui per fortuna riuscii a dar fuoco. E così, con gli stivali ricolmi d'acqua e avvolto nel mio mantello inzuppato fradicio, mi sdraiai arrotolandomi come un riccio e all'alba sembravo un sorcio affogato». Con queste condizioni non era difficile che le uniformi si logorassero fino a diventare irriconoscibili. Talvolta i soldati erano costretti a sottrarre gli indumenti ai civili, oppure a riutilizzare quelli dei commilitoni o dei nemici caduti in battaglia; questo suggerisce quanto fosse complicato, durante la furia dei combattimenti e senza uniformi di colore diverso tra i contendenti, distinguere tra soldati amici e avversari.
Nel 1651 fu ordinato che le guardie del corpo di Carlo II Stuart indossassero giubbe dello stesso colore, ma probabilmente l'idea non fu realizzata.
In Francia, nel 1647, il ministro della guerra dispose le misure per le uniformi (un quarto piccole, un altro quarto grandi e metà di taglia media), senza specificare il colore desiderato.
L'unico modo a disposizione dei comandanti per distinguere le truppe nemiche dalle proprie era la distribuzione di contrassegni colorati: una fascia, una piuma, un nastro o una sciarpa avrebbero aiutato i reggimenti a riconoscersi.
La New Model Army di Oliver Cromwell fu probabilmente la prima ad avere de jure le giubbe rosse; de facto fu impossibile produrre divise militari di qualità , ragione per cui nelle battaglie di Dunbar (1650) e Worcester (1651) i soldati del Parlamento usarono contrassegni di diversi colori, fermo restando l'ordine di «non indossare niente di bianco». Roger Boyle Orrery, nel suo Trattato sull'arte della guerra (1677), scrisse che non era difficile, date tali circostanze, cambiare il segno colorato per passare dall'altra parte, se le sorti della guerra si facevano sfavorevoli.
Fu così che i soldati spagnoli cominciarono a indossare contrassegni rossi, mentre i francesi si riconoscevano per il blu. L'arancione fu prima utilizzato dalle truppe parlamentari inglesi, poi fu adottato dagli olandesi. Gli svedesi, i primi ad avere un esercito regolare permanente, scelsero il giallo. Insomma, i colori indossati in età moderna dai soldati di questi paesi sono gli stessi che contraddistinguono oggi le maglie delle squadre nazionali di calcio. Le uniformi principali di gara riecheggiano, oltre (ma non sempre) alle tonalità delle rispettive bandiere, i colori che le truppe scelsero per distinguersi dagli avversari sui campi di battaglia. Oggi al posto di contrassegni militari ci sono le divise di gara, al posto dei proiettili un pallone.